Singapore: le neuroscienze computazionali rivelano come i ricordi vengono codificati nel nostro cervello
La memoria di lavoro può contenere più informazioni anche in caso di stimoli differenti
Il mantenimento delle informazioni é un processo che richiede costante attività neuronale. Gli studiosi dell’Università Nazionale di Singapore hanno scoperto come la presentazione di diversi stimoli può modificare il codice della popolazione neuronale implicata nella memoria di lavoro. Questo può essere un risultato importante per gli interventi riabilitativi nei casi di demenza.
Il lavoro prezioso ed incessante della memoria di lavoro.
La memoria di lavoro (Working Memory, WM) è la capacità di conservare e manipolare le informazioni in breve tempo. E’ un “magazzino” fondamentale per le funzioni cognitive complesse come il ragionamento e il linguaggio. Come afferma Petrides (2005) il suo mantenimento sembra essere sostenuto dai neuroni della corteccia prefrontale laterale (LPFC) che presentano forti connessioni ricorrenti tra di loro.
Per poter confermare il ruolo di queste popolazioni di neuroni, il team degli studiosi della National University di Singapore si é focalizzato sulla loro capacità di ritenzione delle informazioni anche in caso di stimoli distrattori.
Nello specifico il professor Camilo Libedinsky e il professor Shih-Cheng Yen hanno notato come la somministrazione di due stimoli differenti (uno stimolo target e un distrattore) non implicasse la perdita delle informazioni.
I distrattori infatti evocano un cambiamento del codice della popolazione prefrontale, pur permettendo di conservare le informazioni in memoria. Gli studiosi hanno ipotizzato che l’attività dinamica dell’LPFC contenga le informazioni all’interno di un sottospazio neurale.
Utilizzando strumenti derivati dall'apprendimento automatico, i ricercatori hanno dimostrato che è possibile trovare informazioni stabili all'interno del mutevole codice della popolazione neurale. Esistono inoltre dei sottospazi nella corteccia prefrontale che permettono la codifica simultanea di stimoli diversi con un’interferenza minima.
Una ricerca che segna una svolta nel campo della neuroscienze computazionale cognitiva, scoprendo un aspetto chiave di come il cervello codifica i ricordi a breve termine
Il prof. Libedinsky, autore dello studio, ha spiegato:
“La memoria a breve termine ha una bassa capacità di conservare le informazioni. Di solito può contenere solo da sei a otto articoli come ad esempio mantenere un numero di telefono per alcuni secondi".
Le informazioni contenute nella memoria a breve termine possono essere quindi lette dai neuroni della corteccia prefrontale anche dopo la presentazione del distrattore. Queste devono tuttavia avere una rilevanza comportamentale per poter essere codificate e ritenute nella memoria.
E’ una scoperta che può avere conseguenze importanti nella comprensione di come il cervello abbia la capacità di eseguire più operazioni mentali nello stesso tempo.
Al riguardo il professor Libedinsky aggiunge ancora:
"Questi risultati sono controintuitivi poiché la memoria era stabile ma il codice è cambiato. In questo studio abbiamo risolto l' indovinello sullo span di memoria".
Lo studio di Libedinsky et al. (2019) ha quindi dimostrato che l’LPFC ha un numero elevato di neuroni con risposte selettive miste per poter trasmettere in maniera affidabile le informazioni (Johnston et al., 2019). L’esistenza di più sottospazi all’interno di una singola popolazione neuronale può essere un mezzo efficace per utilizzare lo spazio di attività ad alta prestazione delle regioni cerebrali (Remington et al., 2018).
I limiti dello studio sulla memoria a breve termine
Lo studio riportato sopra dimostra come l’aggiunta di un secondo compito di natura diversa consenta la codifica simultanea di informazioni esistenti senza però modificare le informazioni già contenute in memoria.
Bisogna tuttavia stare attenti perché non sempre la trasversalità dei sottospazi è efficiente in quanto è possibile che si verifichino lo stesso delle interferenze cognitive. Ad esempio richiamare l’attenzione o pianificare un’azione può interferire e distorcere le informazioni contenute nella memoria di lavoro (Feng et al., 2012). Questo fenomeno fa ipotizzare la presenza di altri sottospazi che non sono direttamente correlati alla WM.
Partendo da questo presupposto teorico, l’approfondimento dello studio di altri “magazzini mnemonici” é impegnativa. Una regione cerebrale impegnata nell’analisi di una prima informazione potrebbe essere immediatamente catturata da una seconda informazione rilevante per l’attività finale (come la direzione del movimento oculare). Questo processo potrebbe mettere non solo in crisi i sottospazi deputati al mantenimento delle informazioni ma anche le regioni coinvolte nell’analisi degli output.
Un test più diretto potrebbe interessare la manipolazione dell’attività neuronale del lobo frontale per misurarne gli effetti anche a valle.
Ad oggi questi approfondimenti non sarebbero possibili a causa delle limitazioni delle tecnologie di stimolazione. In futuro si potrebbero generare modelli di reti neurali artificiali che replicano le attività di risposta delle popolazioni neuronali del lobo frontale. Solo così sarebbe possibile generare previsioni sull’effetto di manipolazioni specifiche ed emulare la funzione cerebrale.
In conclusione, la possibilità di approfondire i processi neuronali implicati nella codifica e nella ritenzione delle informazioni nella working memory potrebbe essere un passo avanti nello studio della flessibilità cognitiva. Potrebbe inoltre rappresentare una svolta nella diagnosi e nel trattamento di disturbi neurodegenerativi come la demenza.
>> Leggi anche:
Come i bambini integrano i nuovi eventi nella loro conoscenza
Proroga ECM 2020- Come recuperare fino a 300 crediti dei trienni precedenti
Fonti:
Feng, J., Pratt, J. & Spence, I. Attention and visuospatial working memory share the same processing resources. Front. Psychol. 3, 103 (2012).
Funahashi, S., Bruce, C. J. & Goldman-Rakic, P. S. Mnemonic coding of visual space in the monkey’s dorsolateral prefrontal cortex. J. Neurophysiol. 61, 331–349 (1989).
Petrides, M. Lateral prefrontal cortex: architectonic and functional organization. Philos. Trans. R. Soc. B: Biol. Sci. 360, 781–795 (2005).
Constantinidis, C. et al. Persistent spiking activity underlies working memory. J. Neurosci. 38, 7020–7028 (2018). National University of Singapore. "Researchers use machine learning tools to reveal how memories are coded in the brain." ScienceDaily. ScienceDaily, 27 November 2019.
seguici su