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E’ ufficiale: il trattamento immediato con la terapia antiretrovirale aiuta e può aiutare i bambini affetti da HIV

Il trattamento precoce potrebbe essere fondamentale per i bambini con HIV-1

L’infezione neonatale da HIV-1 é un’emergenza quotidiana in diverse aree del mondo. Alcuni studiosi dell’Università di Harvard hanno dimostrato che un trattamento antiretrovirale a poche ore dalla nascita potrebbe prevenire lo sviluppo successivo dell’HIV-1 nei bambini.

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L’infezione da HIV é un’emergenza mondiale.

Sebbene esistano interventi efficaci per prevenire la trasmissione madre-figlio dell’HIV-1 (Siegfried et al., 2011), l’infezione neonatale continua ad essere un problema mondiale di salute pubblica. Solo nell’Africa sub-sahariana si contano dai 300-500 infetti al giorno.

Ad aggravare la situazione vi è il fatto che nel sistema immunitario ancora debole dei bambini il virus tende a progredire più rapidamente rispetto agli adulti.

In riferimento a questo fenomeno l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha decretato le linee guida per l’intervento precoce con la terapia antiretrovirale (ART) a poche settimane dalla nascita nei bambini a rischio (WHO, 2010). Nonostante queste raccomandazioni, l’avvio del protocollo ART nelle zone del mondo maggiormente colpite dall’epidemia di HIV-1 ha dei limiti logistici e infrastrutturali.

E’ importante invece ampliare la comprensione dei vantaggi clinici, immunologici e virologici per produrre degli interventi precoci e ad ampio raggio soprattutto nei bambini e nei neonati. E’ proprio in queste fasce d’età che é più probabile riscontrare una migliore attività antivirale e una diminuzione dell’attivazione anomala delle cellule T, un importante predittore di morbilità associata all’HIV-1 (Utay et al., 2016).

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Lo studio sui neonati del Botswana

Per poter confermare l’efficacia del trattamento antiretrovirale, il team di Roger Shapiro (MD) dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health e di Mathias Lichterfeld (PhD) e Daniel Kuritzkes (MD) del Brigham e Women's Hospital ha portato avanti lo studio EIT (Early Infant Treatment).

Gli studi hanno cercato di comprendere in che modo l’avvio del protocollo ART potesse portare benefici immediati nei neonati del Botswana nati con l’HIV-1.

Oltre ad evidenziare i vantaggi immunologici dati dall’intervento precoce, lo studio ha analizzato anche le dinamiche dell’istituzione del serbatoio virale immediatamente dopo la nascita.

E’ stato infatti utilizzato un approccio di sequenziamento dell’HIV-1 che cattura tutte le catene provirali intatte (Ho et al., 2013) e permette di seguirne la reazione a contatto con l’HIV-1. La singolarità dello studio è data anche dalla difficoltà con la quale è possibile effettuare un’analisi sistematica dei serbatoi residui di cellule infettate dal virus.

Le risposte dei neonati infatti richiedono una raccolta di campioni di sangue da studi clinici dedicati all’analisi ed è un processo tecnicamente impegnativo a causa della quantità limitata.

A questa difficoltà si aggiunge il fatto che le cellule T nei neonati differiscono profondamente da quelle degli adulti soprattutto perché:

  • possono alterare la suscettibilità cellulare alle infezioni virali
  • possono influenzare la selezione di siti di integrazione cromosomica provirale
  • possono modificare il turnover clonale delle cellule infette

Come dimostrato anche dagli studi di Saez et al. (2011).

Come già riportato sopra nello studio EIT di Shapiro et al. (2019) sono stati arruolati neonati provenienti da due importanti ospedali del Botswana, uno dei paesi con la maggiore incidenza di HIV-1 al mondo. I neonati sono stati inseriti nel protocollo ART già dalle prime ore di nascita per poi confrontare i loro risultati con quelli di altri bambini che non avevano ricevuto il trattamento.

In seguito sono stati raccolti campioni di sangue ad intervallo regolare da entrambi i gruppi. In particolar modo gli studiosi si sono concentrati su 10 bambini che erano sieropositivi dalla nascita.

Nel loro caso sono state riscontrate un numero di cellule viralmente infette (cellule del serbatoio virale) estremamente ridotto rispetto a quelle di bambini infetti che hanno iniziato il trattamento in seguito. Da questo i ricercatori hanno identificato due tipi di cellule immunitarie intatte (le cellule NK e monociti) in aumento rispetto a quelle del serbatoio virale.

Questo ha fatto ipotizzare il ruolo delle cellule NK e dei monociti nella modulazione delle cellule del serbatoio virale.

Al riguardo il co-autore dello studio Mathias Lichterfield ha affermato:

"Il nostro studio suggerisce che le strategie per testare e trattare i neonati immediatamente dopo la nascita possono migliorare i risultati. Il trattamento ART entro poche ore dalla nascita é fattibile e si traduce in molteplici benefici per i neonati. Tra gli effetti positivi vi sono infatti frequenze più basse delle cellule del serbatoio virale e migliori risposte immunitarie”.

Lo studio ha quindi dimostrato che un cambiamento relativamente piccolo nelle procedure post-natali potrebbe avere un impatto enorme sugli esiti del trattamento a lungo termine.

I risultati infatti suggeriscono che le cellule con infezione virale sono soggette a forti meccanismi di selezione durante il trattamento ART e che solo un piccolo numero di cellule infette si trasforma in un serbatoio stabile a lunga durata (Einkahuf et al., 2019).

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La difesa immunitaria neonatale antivirale si basa infatti sui meccanismi dovuti all’adattamento delle risposte cellulari (Adkins et al., 2004) ad agenti patogeni. I dati dello studio di Harvard confermano appunto che l’inizio del trattamento precoce contribuisce alla stabilizzazione e al miglioramento della risposta immunitaria antimicrobica.

Per quanto riguarda la risposta delle cellule T antivirali è probabile che la rapida iniziazione del protocollo ART abbia ridotto l’esposizione all’antigene e ne abbia smorzato la risposta migliorando l’efficacia immunitaria. Sebbene la coorte di studio fosse troppo piccola per poter generalizzare i risultati ha sicuramente fornito un forte supporto scientifico per la gestione dell’infezione neonatale da HIV-1.

In conclusione, le ricerche future potranno ripartire dai risultati dello studio di Shapiro et al. (2019) per poter identificare i processi alla base della risposta immunitaria neonatale. L’obiettivo sarà infatti promuovere ad ampio raggio il trattamento precoce ART per arginare gli effetti dell’HIV-1 sin dai primi mesi di età e sviluppare un protocollo condiviso da tutta la comunità scientifica.

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Fonti:

B. Adkins, C. Leclerc, S. Marshall-Clarke, Neonatal adaptive immunity comes of age. Nat. Rev. Immunol. 4, 553–564 (2004) Brigham and Women's Hospital. "Immediate treatment with antiretroviral therapy helps infants with HIV: Study on babies in Botswana provides strong evidence that early initiation of ART may benefit those who contract HIV at birth." ScienceDaily. ScienceDaily, 27 November 2019.  

K. B. Einkauf, G. Q. Lee, C. Gao, R. Sharaf, X. Sun, S. Hua, S. M. Y. Chen, C. Jiang, X. Lian, F. Z. Chowdhury, E. S. Rosenberg, T.-W. Chun, J. Z. Li, X. G. Yu, M. Lichterfeld, Intact HIV-1 proviruses accumulate at distinct chromosomal positions during prolonged antiretroviral therapy. J. Clin. Invest. 129, 988–998 (2019) 

World Health Organization, Antiretroviral Therapy for HIV Infection in Infants and Children: Towards Universal Access—Recommendations for a Public Health Approach: 2010 Revision (World Health Organization, 2010); www.who.int/hiv/pub/paediatric/infants2010/en/ index.html.

Inserita il 19/02/2020

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