In questo articolo apparso di recente sul New England Journal of Medicine il dott. Kenneth S. Polonsky ripercorre le principali trappe della storia del diabete, dall'origine della tassonomia fino alle possibili evoluzioni della patologia. Traduciamo la prima parte e le conclusioni. Per leggere l'intero articolo qui.


Il diabete e' stato identificato per la prima volta nel 1500 A.C. dagli antichi Egizi che collegavano alla perdita di peso e alla frequente minzione. Il termine diabete mellito riflette infatti il sapore dolciastro delle urine dei pazienti affetti da questa patologia e fu usato per la prima volta dal fisiatra Greco Aretaeus, che visse tra l'80 e il 138 A.C. Ma fu solo nel 1776 che Matthew Dobson riuscì a misurare la concentrazione di glucosio nelle urine e il suo aumento.
Il diabete e' stato descritto in termini clinici molto tempo dopo, quando venne fondato il New England Journal of Medicine and Surgery, nel 1812. La sua diffusione al tempo non era documentata e le conoscenze sui suoi meccanismi erano scarse. Non esistevano trattamenti efficaci e spesso era fatale entro poche settimane o mesi dalla diagnosi a causa dell'insufficienza insulinica. Negli ultimi 200 anni ci sono stati diversi progressi nella comprensione delle cause, nella prevenzione e nel trattamento. Nonostante il diabete sia associato ad una minore aspettativa di vita, la prognosi per i pazienti affetti da questa malattia e' decisamente migliorata e i pazienti possono avere una vita attiva e produttiva per molti anni dopo la diagnosi. Ci sono diverse terapie per trattare l'iperglicemia e le relative complicazioni. Lo studio del diabete e degli aspetti relativi alla metabolizzazione del glucosio e' un terreno così fertile per la ricerca da aver permesso a 10 scienziati di vincere il Nobel, a partire dal 1923, per i loro lavori collegati alla patologia. […]
[…] Dato il costante aumento di casi della malattia, una tempestiva prevenzione della patologia nella popolazione si sta rivelando indispensabile. Le opportunità di implementare politiche di prevenzione abbondano, ma ci sarebbe bisogno di metodi scientifici e rigorosi per valutare gli effetti delle politiche o delle iniziative legislative come l'eliminazione dei grassi saturi dalla dieta; o la pretesa che i ristoratori dichiarino il contenuto calorico dei menu'; la diminuzione della disponibilità di cibi ad alto contenuto calorico o ricchi di grassi dalle mense scolastiche oppure l'imposizione di una tassa sulle bevande zuccherate.
Il modificare gli stili di vita gioca indubbiamente un ruolo chiave nella soluzione del problema del diabete, ma i cambiamenti necessari non sono facili da apportare e altre soluzioni dipendono dall'abilita' della scienza di base di orientare prevenzione e cura verso nuove direzioni. Le scoperte nell'immunologia di base, per esempio, offrono delle premesse per la prevenzione di reazioni auto-immuni in pazienti con diabete di tipo 1. Scoperte sull'identificazione dei geni collegati al diabete potrebbero invece chiarire il ruolo della resistenza all'insulina e delle disfunzioni delle cellule beta -e così identificare le vie molecolari e i nuovi farmaci mirati per trattamenti più efficaci -nei casi di diabete di tipo 2.
Nonostante le sfide aperte restino molte, se ci basiamo sui risultati finora ottenuti ci sono tutte le ragioni per essere ottimisti sul fatto che, in un prossimo futuro, potranno essere fatte scoperte illuminanti come fu quella dell'insulina e che queste scoperte avranno un impatto decisivo sul trattamento della patologia.


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